Il FACS (Facial Action Coding System) è un sistema di codifica delle espressioni facciali sviluppato da Ekman e Friesen nel 1978 da cui è derivato, successivamente, il sistema chiamato Emotion Facial Action Coding (EMFACS), sviluppato dagli stessi autori qualche anno dopo (1984). Entrambi FACS ed EMFACS sono stati costruiti su base anatomica per misurare oggettivamente i movimenti facciali visibili. Sulla base dei risultati empirici, il FACS comprende 44 movimenti facciali discriminabili visibilmente che, singolarmente o in combinazione, rappresentano tutti i movimenti facciali possibili. Questi movimenti sono chiamati “unità d’azione” (AU). Ad ognuna di queste unità d’azione è stato assegnato un numero, in modo che ad ogni movimento visibile nell’espressione del viso possa descritto con un codice. Oltre al codice numerico, ad ogni movimento facciale vengono anche assegnati dei codici letterali in base all’intensità del movimento, alla lateralità e all’asimmetria di alcune unità di azione. In confronto al FACS, l’ EMFACS registra solo quelle unità d’azione associate alle emozioni.
Per registrare le espressioni facciali che fanno parte di un “evento” emotivo, all’interno di un flusso continuo di comportamenti espressivi, Friesen e Ekman (1984) hanno definito nell’EMFACS delle regole (“event rules”) per convertire determinati pattern di unità di azione in specifiche emozioni primarie (felicità, sorpresa, rabbia, disprezzo, disgusto, paura, tristezza) o emozioni miste, quest’ultime date dalla presenza di AU determinanti di almeno due diverse emozioni di base che insorgono nello stesso tempo o dal mascheramento di una delle due con un’emozione che va nella direzione opposta. Nell’EMFACS sono presenti, inoltre, delle norme per distinguere le emozioni spontanee (come il sorriso “Duchenne” identificabile nel movimento dell’orbicolare dell’occhio) e quelle controllate (come il sorriso falso, dove non è presente alcun movimento dell’orbicolare dell’occhio).
L’impiego del FACS e dell’EMFACS risulta complesso nel loro completo potenziale all’interno del setting psicoterapico per due motivi: innanzitutto il nostro occhio non può rilevare accuratamente tutte le emozioni facciali per la loro velocità, inoltre, la nostra memoria di lavoro non può processare allo stesso tempo l’intera gamma di stimoli (le espressioni facciali che compaiono nel volto del paziente in tempo reale, i contenuti verbali che questo espone, le proprie sensazioni, la formulazione di domande e di risposte) che fanno parte del lavoro psicoterapico.
Per poter sfruttare pienamente lo strumento di Ekman e Friesen, sarebbe necessario filmare le sedute di psicoterapia e, con un programma di codifica automatico o attraverso la visione dei filmati al rallentatore, rivedere e analizzare le espressioni e le microespressioni presentate dal paziente, avendo tutto il tempo a disposizione di elaborarle e inserirle all’interno di un costrutto psicologico più ampio, come la diagnosi, le modalità di intervento. Questa procedura, se non impiegata a scopo di ricerca, risulta artificiosa e dispendiosa in termini di tempo e di energia per lo psicoterapeuta: è impensabile per ogni ora di psicoterapia passarne altre 3 o 4 ad analizzare filmati.
L’impiego del FACS in psicoterapia può comunque risultare utile. Un occhio allenato può infatti identificare quelle espressioni che compaiono più spesso nel volto del paziente e, avvalendosi delle espressioni facciali come indicatore emozionale, il terapeuta può notare in tempo reale quali sono nella relazione i trigger emotivi, vale a dire quegli argomenti o quelle affermazioni che suscitano eventi emozionali.
L’impiego del FACS nel contesto psicoterapico può essere utile in ogni momento di interazione terapeuta-paziente sia a livello relazionale, sia in fase diagnostica che durante il processo di cambiamento.
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