Quando parliamo della rabbia ci riferiamo ad un’emozione primaria (o primordiale), che deriva dall’istinto di difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova. Kolts (2001), all’inizio del suo libro The compassionate mind approach to managing your anger: using compassion-focused therapy (compassion focused therapy), afferma che la rabbia sembra che ci circondi costantemente, come spesso vediamo in TV o su internet: storie di violenza domestica, crimini violenti, politici in lotta…
La rabbia, mentre si sviluppa nelle nostre vite, assume molte forme differenti. C’è la rabbia che si nasconde dietro la frustrazione quando non riusciamo in qualcosa, la rabbia impulsiva o quella data da un senso di impotenza, o anche la rabbia che emerge di fronte alle ingiustizie. Inoltre essa può manifestarsi lentamente o rapidamente e può durare per periodi di tempo differenti. Oltretutto, tutti noi differiamo gli uni dagli altri nel modo in cui esprimiamo tale emozione. Ci sono persone che possono non esprimere rabbia, ma che passano ore a ribollire facendo pensieri negativi, e persone che credono che provare rabbia sia addirittura sbagliato ed inaccettabile, ed evitano così qualsiasi fonte di disaccordo o di conflitto, avvicinandosi passivamente alla loro vita. Dall’altro lato, ci sono persone che non perdono occasione di esprimere e imporre il loro giudizio, a cui “saltano facilmente i nervi” e che mettono spesso in atto comportamenti aggressivi, verbalmente o fisicamente. Tra questi due estremi ci sono tutti gli altri, quelli che si arrabbiano solo con gli sconosciuti o con le persone con cui si sentono più in intimità, quelli manipolativi, i passivi-aggressivi, e così via.
Che ci piaccia o no, la rabbia fa parte della nostra vita e ci sono interi sistemi nel nostro cervello che vi si dedicano. È utile, perciò, imparare a lavorarci perché, non gestita correttamente, può avere impatti negativi sulla nostra salute mentale e fisica. La rabbia mal gestita ed esagerata può danneggiare le nostre relazioni con amici e partner, può logorarci nel tempo e correla con il malfunzionamento del sistema immunitario, l’ipertensione e il rischio di ictus. La rabbia troppo controllata, d’altra parte, è associata a depressione e ad ansia.
Questo articolo vuole così provare ad esplorare i modi per comprendere e lavorare con la rabbia e aiutarci ad avere relazioni più solide, costruire vite più felici e contribuire ad un mondo più sereno e pacifico (o almeno provare a contribuirvi!). Infatti uno degli obiettivi di questo articolo è aiutarci a familiarizzare con la natura della nostra rabbia per riuscire, infine, ad essere in grado di lavorarci in modo compassionevole. L’approccio compassionevole nel lavorare con la rabbia non riguarda il “calmarla” o in qualche modo sbarazzarsene – sarebbe impossibile, perché la rabbia è una parte intrinseca di noi stessi. Perciò tenendo questo a mente, impareremo invece a comprendere la rabbia come “parte di ciò che ci fa battere” – ma non come una bomba che ticchetta – più come il ticchettio di un orologio a pendolo.
L’articolo presenta un nuovo modello per gestire la rabbia e per lavorarci su. Si basa su un nuovo approccio sviluppato dal professor Paul Gilbert, un noto psicologo britannico. Tale approccio, noto come Compassion Focused Therapy (CFT), si basa su diverse idee importanti: una di queste prende in considerazione l’assunto di base che per lavorare efficacemente con le nostre emozioni, dobbiamo sapere come funzionano. La Compassion Focused Therapy ci fornisce potenti strategie per lavorare con emozioni difficili, come appunto la rabbia, e per sviluppare modi che possano aiutarci a vivere una vita più felice e più sana. A partire da questo approccio, seguiremo un modello di gestione della rabbia descritto da Kolts (uno dei maggiori esponenti della CFT) chiamato, RAGE utile per gestire la rabbia e vedremo qui man mano come funziona. L’acronimo RAGE (in italiano traducibile con “lotta”) ci aiuta a ricordarci alcuni passaggi utili a comprendere e gestire la rabbia.
Vediamole ora nel dettaglio.
Uno dei compiti della rabbia, così come vale per le nostre emozioni di base, è quello di promuovere quel comportamento che, ai tempi dei nostri antenati, è stato più efficace nel gestire situazioni simili. Cosa c’è in comune tra un nostro antenato con l’ascia che si muove nella savana e noi? Lui, arrabbiato perché gli è stata presa da sotto il naso la preda che aveva cacciato e noi, mamme che combattono coi compiti estivi dei figli? Apparentemente nulla, ma se guardiamo con attenzione, entrambi siamo in presenza di una minaccia, fisica o sociale, oppure di un ostacolo. Le emozioni agiscono da sempre, prima che attraverso i pensieri, attraverso il corpo. Emozioni come la rabbia comportano una forte eccitazione, misurabile nell’aumento del battito cardiaco, della respirazione e della pressione. L’eccitazione è unita ad un forte impulso ad agire, andando contro a ciò che ci ha suscitato tale emozione, con la tendenza ad insultare, aggredire o combattere. In situazioni del genere non si tratta di semplice desiderio, ma di un vero e proprio bisogno; quando siamo arrabbiati, spesso, non scegliamo noi razionalmente di avere impulsi aggressivi, ma è semplicemente qualcosa che sentiamo nel corpo, non che “pensiamo”. Il nostro compito qui è capire come gestire questo impulso che sentiamo ed evitare di impegnarci in comportamenti che ci mettono nei guai o che danneggiano gli altri.
Sono numerosi i comportamenti che possono emergere quando si attiva il nostro sistema di risposta alla minaccia ed entra in gioco la rabbia. Tali comportamenti variano da persona a persona e sono correlati ad una serie di fattori, tra cui il temperamento, i nostri primi rapporti con i caregivers, il nostro ruolo sociale ecc. Tra tutti i modi con cui agiamo quando siamo arrabbiati, l’aggressività è uno dei peggiori perché crea distanza tra noi e chi amiamo.
Un’altra conseguenza della rabbia, riguarda l’accendere in noi tantissimi “pensieri automatici”, che sembrano comparire dal nulla nella nostra mente e che sono spesso legati a ragionare su un colpevole. La maggior parte delle volte, questi pensieri non descrivono in modo fedele la realtà o il contesto in cui si è accesa la rabbia:
E’ successo ad ognuno di noi, una volta passata la rabbia, di dimenticarci in toto i contorti pensieri arrabbiati o di riguardare ad essi con un certo senso di incredulità! Questo fenomeno è naturale e accade perché si attiva il nostro sistema di rilevamento della minaccia, un sistema antico e un po’ “grossolano” (è una parte del nostro cervello che condividiamo con i dinosauri) che inizia a sondare e ad indagare tutte le potenziali minacce, ma senza mantenere una visione dall’alto e una sana moderazione.
Questi pensieri automatici su cui iniziamo a ruminare non ci permettono di concentrarci sui compiti più semplici della giornata e, soprattutto, di ragionare in modo lucido e, quindi, di curare l’origine della rabbia che si trova dentro di noi, non fuori (come la nostra rabbia vuole invece farci credere). Ricordate il cartone Inside Out? Rabbia è vestita in modo serio, legge il giornale, pretendendo sempre di avere ragione; ha anche idee “brillanti” che rischiano di avere conseguenze tremende: se avete visto il film, ricorderete che Rabbia gestisce le situazioni in modo poco efficace proprio per la sua impulsiva insistenza a imporsi e cercare le colpe negli altri. Vista da questa prospettiva, è chiaro il “bias” (errore di valutazione) che fa Rabbia e acconsentiamo facilmente che non va ascoltata. Il problema è che quando siamo arrabbiati, i pensieri di Rabbia sono estremamente convincenti e credibili! Come se non bastasse, rimuginare sulle colpe altrui ci offre un’incredibile sensazione di forza che dà sollievo al nostro dolore.
Purtroppo ruminare peggiora la nostra rabbia: ogni pensiero “arrabbiato” è come un legnetto che mettiamo sul fuoco. Non aspettiamoci quindi che il fuoco della rabbia si spenga ragionandoci su!
Riassumendo, la prima R di RAGE ci suggerisce di fermare gli impulsi e di non dare potere ai pensieri: solo così ridurremo i danni e avremo modo, lentamente, di far defluire la rabbia. E cosa dire di tutti quelli che dicono che bisogna “sfogarla”? Sfogare la rabbia indubbiamente ci dona un grande sollievo nel breve termine, ma nel lungo termine logora il nostro corpo e le nostre relazioni, quindi è un beneficio a corto raggio che nasconde varie insidie…Scopriremo come la compassione ci aiuterà a gestire il dolore alla base della rabbia (senza sfogarsi) e ad usare la rabbia in modo più produttivo (senza reprimerla).
Questo esercizio deriva in parte da elementi della meditazione e della concentrazione Buddista e dalla meditazione della mindfulness, con degli adattamenti per creare una forma comprensibile concisa e chiara che sia funzionale al contesto della psicoterapia. La meditazione è un invito a trovare un momento di tranquillità durante l’esperienza della respirazione, dal quale è possibile osservare il viavai dei pensieri nella mente. Questa tranquillità è dovuta all’attivazione del sistema nervoso parasimpatico, dato dall’allungamento dell’espirazione.( Brown &Gerbarg, 2012). Esercizi simili sono parte della mindfulness classica (Rapgay & Bystrisky, 2009), della meditazione tibetana samatha e della meditazione Zen.
Sotto riportiamo le istruzioni per la respirazione ritmica calmante (adattata da Tirch, 2012; puoi ascoltare la guida audio a questo link>>). Questo esercizio, se fatto con regolarità, ti aiuterà a gestire gli impulsi e a ridurre i pensieri che scaturiscono dalla rabbia, sviluppando un sistema calmante che, da un punto di vista fisiologico, riuscirà gradualmente a inibire la risposta di attivazione della rabbia. Se è la prima volta che lo sperimenti, assicurati non non essere arrabbiato, altrimenti potresti confondere gli effetti dell’esercizio con la naturale resistenza che la tua rabbia opporrà ad esso.
Ascolta il file audio di questo esercizio>>
Trova una posizione comoda, dove puoi appoggiare entrambi i piedi sul pavimento e lasciare che la tua schiena assuma una posizione dritta ma rilassata. Sentiti comodo e stabile. Quando sei pronto, chiudi gli occhi e prova ad assumere un’espressione del viso gentile o rilassata, magari sorridendo leggermente. Inizia a dirigere la tua attenzione al leggero flusso del respiro dentro e fuori dal corpo. Ascolta il tuo respiro mentre inspiri ed espiri. Mantieni l’attenzione meglio che puoi sul respiro con una disposizione mentale gentile e comprensiva, senza cercare di cambiare o correggere qualcosa, ma semplicemente rimanendo in contatto con l’atto della respirazione.
Non appena inizi ad essere più concentrato sul flusso del respiro, ascolta il tuo respiro espandersi nella tua pancia, prestando attenzione al tuo addome e al tuo petto che si alzano e si abbassano. Lascia, meglio che puoi, che l’aria raggiunga il fondo dei tuoi polmoni. Quando espiri nota il tuo addome che si abbassa o che lievemente si contrae. Percepisci i muscoli sotto la gabbia toracica muoversi ad ogni respiro. Mentre osservi la tua pancia che si alza e si abbassa, lascia che il tuo respiro trovi il suo ritmo e il suo andamento, semplicemente lasciando che il respiro si diffonda e dandogli modo di trovare il proprio ritmo, momento dopo momento. Ad ogni inspirazione presta attenzione al corpo e ad ogni espirazione percepisci il tuo intero corpo che si lascia andare.
Ora estendi e prolunga l’espirazione e lascia che il respiro si sintonizzi con un ritmo lento e calmo. Inspira per tre secondi, soffermati per un momento, quindi espira per altri tre secondi e fermati ancora un poco. Se riesci, prolunga l’espirazione a quattro secondi e poi a 5 secondi. Mantieni questo ritmo con dolcezza, usandolo come guida e come ritmo. Ogni volta che la tua mente si allontana verso pensieri, immagini o distrazioni, dolcemente ricordati che questa è la natura della nostra mente e torna sul tuo respiro.
Rimani con l’attenzione rivolta a questo ritmo calmante del tuo respiro, più che puoi, sentendo ogni inspirazione scendere lungo i polmoni, notando l’addome che si alza e si abbassa e avendo la percezione del rilascio graduale dell’aria durante l’espirazione.
Dopo aver esercitato questo tipo di respirazione con un ritmo calmo e lento per alcuni minuti, lascia che il tuo respiro assuma un ritmo naturale. Infine, con un respiro più profondo, lascia andare questo esercizio completamente. Quando sei pronto, riporta la tua consapevolezza verso il tuo ambiente vicino, aprendo gli occhi e ritornando alla tua esperienza presente.
Nella CFT il complesso mondo delle emozioni umane è organizzato in tre sistemi di regolazione delle emozioni (modello dei Tre Cerchi) che ci aiutano in tre tipi di situazioni:
I nostri problemi con le emozioni legate alle minacce, come la rabbia, si verificano quando i sistemi sono sbilanciati, quando, in particolare, il sistema calmante non è sufficientemente sviluppato per riuscire ad inibire e modulare l’attivazione del sistema di protezione dalla minaccia.
Cerca di ricordare un momento in cui il tuo sistema di protezione dalla minaccia era attivo, quando ti sei sentito attaccato o i tuoi obiettivi sembravano irraggiungibili. Prendi carta e penna e annota le tue risposte: scrivere ti darà la possibilità di elaborare una riflessione più approfondita e attenta.
Quali emozioni hai provato?
Come ti sei sentito?
Quali sensazioni fisiche hai avuto?
A cosa hai prestato attenzione?
A cosa stavi pensando?
In che modo i tuoi pensieri erano collegati alle tue emozioni?
Che tipo di immagini o fantasie stava creando la tua mente?
Cosa avevi l’impulso a fare?
Cosa volevi razionalmente fare?
Che tipo di comportamento hai avuto?
Se dobbiamo imparare a gestire la rabbia è fondamentale che impariamo a riconoscere quando il nostro sistema di protezione dalla minaccia è attivo. La chiave è riconoscere questo processo appena si attiva e interromperlo prima che inibisca la nostra capacità di riflettere.
Cerca di ricordare un momento in cui il tuo sistema di ricerca di stimoli e risorse era attivo, mentre eri entusiasta di fare qualcosa, come raggiungere un obiettivo. Prendi carta e penna e annota le tue risposte: scrivere ti darà la possibilità di elaborare una riflessione più approfondita e attenta.
Quali emozioni hai provato?
Come ti sei sentito?
Quali sensazioni fisiche hai avuto?
A cosa hai prestato attenzione?
A cosa stavi pensando?
In che modo i tuoi pensieri erano collegati alle tue emozioni?
Che tipo di immagini o fantasie stava creando la tua mente?
Cosa avevi l’impulso a fare?
Cosa volevi razionalmente fare?
Che tipo di comportamento hai avuto?
Quando questo sistema si attiva può essere attivo anche il sistema di protezione dalla minaccia, perché potremmo percepire l’altro che cerca di raggiungere il nostro stesso obiettivo come una minaccia. E’importante distinguere la sana e vitale ricerca di raggiungere il nostro obiettivo dalla minaccia di fallire.
Cerca di ricordare un momento in cui ti sentivi al sicuro e completamento a tuo agio. Se non riesci a ricordare un momento simile, chiudi gli occhi per un istante e immagina come sarebbe sentirsi completamente a proprio agio, contento e sicuro. Prendi carta e penna e annota le tue risposte: scrivere ti darà la possibilità di elaborare una riflessione più approfondita e attenta.
Quali emozioni hai provato?
Come ti sei sentito?
Quali sensazioni fisiche hai avuto?
A cosa hai prestato attenzione?
A cosa stavi pensando?
In che modo i tuoi pensieri erano collegati alle tue emozioni?
Che tipo di immagini o fantasie stava creando la tua mente?
Cosa avevi l’impulso a fare?
Cosa volevi razionalmente fare?
Che tipo di comportamento hai avuto?
Attraverso questo esercizio, possiamo riflettere e rispondere ad altre due domande.
Se c’è equilibrio tra i sistemi, viviamo ancora emozioni negative ma non ne siamo sopraffatti. Abbiamo una prospettiva migliore e maggior fiducia riguardo alle nostre capacità. Possiamo sperimentare il rilassamento fisico e siamo in grado di allentare la tensione. Possiamo pensare in modo flessibile pensando a molte opzioni, mantenendo una prospettiva dall’alto delle cose. Infine ci sentiamo in contatto con gli altri e possiamo chiedere aiuto e supporto.
L’approccio CFT alla rabbia ci insegna a organizzare i nostri sistemi in modo differente, sviluppando quella che chiamiamo mente compassionevole e che, come si può già intuire, ha a che fare con il sistema calmante.
Cos’è esattamente la compassione? La parola “compassione” deriva dalla combinazione di due parole “cum” che significa “insieme” e la parola “patior” che significa “soffrire”. Questo ci indica che la compassione implica l’essere sensibili alla sofferenza, empatizzare con essa ed essere mossi dal desiderio di alleviare tale sofferenza. La sofferenza può essere quella di qualcuno davanti a noi, la nostra o quella che riguarda ogni essere vivente in generale.
La compassione, come la rabbia, ci indirizza verso l’origine della sofferenza, piuttosto che allontanarla o evitarla. Tuttavia, con la rabbia il desiderio è di distruggere ciò che ha originato la sofferenza, mentre con la compassione si tratta di esser gentili, comprendere e curare (prendersi cura) ciò che ha causato sofferenza. Con la compassione si può gestire la rabbia, che ha sempre a che fare con il dolore e la sofferenza.
Uno dei modi per sviluppare la compassione, è allenarci con le immagini che la nostra mente può creare e visualizzare. Le immagini sono un potente strumento, in grado di modificare la nostra risposta fisiologica e, talvolta, cambiare la nostra prospettiva sulla vita. Prima di imparare ad usare le immagini in modo corretto, bisogna considerare come lavorare con tre potenziali ostacoli che emergono quando si usano le immagini:
1) la “testa tra le nuvole”,
2) il sentire che “non riesco proprio ad immaginare” e
3) il non aver tempo per esercitarsi.
L’unico modo per contrastare l’avere la testa tra le nuvole quando si fanno questi esercizi è accettare che a volte la nostra mente vaga: basta riportare la nostra attenzione all’esercizio. Per quanto riguarda il non riuscire ad immaginare, non si tratta di un problema. Sicuramente alcune persone hanno maggiori capacità immaginative di altre, ma possiamo sopperire a questa difficoltà cercando immagini su google e provando, a partire da esse, a fantasticarci su. Come tutte le altre capacità, anche quella immaginativa può essere sviluppata con un po’ di esercizio, il nostro cervello è molto più plastico e capace di quanto crediamo! Infine il non aver tempo è risolvibile facendo esercizi più brevi (anche solo 30 secondi) e lasciandoci dei piccoli messaggi, come anche dei post it sull’agenda di lavoro, che ci ricordino di esercitarci.
Il primo esercizio immaginativo che vogliamo proporre in questo articolo è finalizzato allo sviluppo dell’immagine di un “Sé compassionevole”. Questa parte di noi, una volta messa a fuoco, potrà sostenerci e soccorrerci quando si attiva il nostro sistema di protezione dalla minaccia, aiutandoci a mantenere una prospettiva saggia e un atteggiamento calmo e riflessivo. Gran parte del nostro modo di pensare, sentire e comportarci è legato al modo in cui vediamo noi stessi, che, a sua volta, è legato a come spesso siamo stati etichettati dagli altri durante la nostra vita. Pensarci come persone arrabbiate o “orgogliose” ci porta più facilmente ad agire in modo scontroso e irritato in diverse situazioni. La nostra proposta è di lasciarsi alle spalle le vecchie etichette e di trovarne alcune che ci piacciano, come empatici, sensibili, gentili, forti, saggi,…. Questo esercizio serve proprio a fare il cambio delle etichette, iniziando ad allenare quella parte di noi che ha la possibilità di avere quelle qualità.
Ascolta il file audio di questo esercizio>>
PRIMA PARTE
Questo esercizio ti aiuterà ad immaginare te stesso in un modo completamente diverso da quello che potrebbe esserti familiare. Immagina di essere un registra che deve costruire un nuovo ruolo, quello di una persona o figura estremamente saggia, forte, gentile… insomma, compassionevole.
Prenditi del tempo per pensare alle qualità di questa figura compassionevole e prova a scrivere le qualità che idealmente ti piacerebbe avesse: calmo, sicuro, compassionevole. Prova a visualizzarne l’atteggiamento: come sarebbe il suo sguardo, la sua espressione del viso, i suoi movimenti, la sua postura? Guarda le mani, sarebbero calme, ferme o in movimento a fare qualcosa? Guarda il genere di questa figura, sarebbe maschio, femmina, o potrebbe facilmente essere entrambi? Sarebbe giovane o anziano? Come sarebbe vestito o pettinato? Ricordati, devi creare questo ruolo nei minimi dettagli. Ora concentrati sulle sue qualità. Sarebbe saggio? Sarebbe forte e in grado di tollerare il disagio? Proverebbe dei sentimenti affettuosi nei confronti degli altri e di se stesso? Si sentirebbe empatico verso la sofferenza delle altre persone e più comprensivo nei confronti dei loro comportamenti? Si sentirebbe più tollerante verso le colpe e le debolezze degli altri e quindi sarebbe non giudicante, accogliente, generoso, indulgente? Sentiti libero di esplorare, non c’è un’immagine “giusta”, concentrati su quella che in questo momento ti piace di più.
SECONDA PARTE
Ora metteremo in atto una visualizzazione utilizzando quella figura compassionevole che hai identificato e descritto. Lascia che i tuoi occhi si chiudano, quindi porta la tua attenzione alla pianta dei tuoi piedi mentre sono appoggiati al pavimento e alla parte del corpo appoggiata alla sedia o al cuscino. Lascia che la tua schiena trovi una posizione dritta e ben appoggiata. Poi, dirigi parte della tua attenzione al flusso del tuo respiro dentro e fuori dal tuo corpo, quindi lascia che trovi un ritmo lento e calmante. Ascoltati mentre inspiri ed espiri. Continua a respirare in questo modo fino a quando non hai raccolto la tua attenzione e non ti senti concentrato sul momento presente.
Ora riprendi le qualità della figura compassionevole che hai descritto poco fa e immagina di avere già quelle qualità.
Inspira e senti le spalle che si aprono, la schiena che diventa tonica pur rimanendo rilassata, solleva leggermente gli angoli della bocca in un sorriso, distendi la fronte, solleva appena il tuo mento.
Espira e focalizzati sul peso sulla sedia e sentiti radicato sulla terra. Senti la stabilità della terra.
Inspira ed immagina te stesso forte e capace di tollerare le difficoltà mentre affronti le tue paure, quindi espira.
Ogni volta che inspiri, assorbi e fai tu le qualità che hai descritto poco fa nell’immagine compassionevole. Prova ad essere tu stesso quella figura, ad assumere quel ruolo di dirigerti intenzionalmente verso l’alleviare le sofferenze che incontri, con coraggio, gentilezza, tolleranza, fiducia.
Inspira mentre senti di avere quella saggezza, ed espira sapendo che tu sei parte dello scorrere della vita sulla terra, con una mente e con una storia personale che non facevano parte dei tuoi progetti o delle tue scelte.
La tua saggezza, la tua forza, e i tuoi impegni sono tutti presenti. Immagina di essere una persona completamente non giudicante, che non condanna se stessa o gli altri per le proprie colpe. Continua a portare l’attenzione ai dettagli sensoriali che hai notato nel tuo Sé compassionevole. I segnali del linguaggio del tuo corpo indicano apertura e gentilezza? Stai sorridendo? Se non è così, sorridi ora e allo stesso tempo immagina il calore che provi quando amorevolmente tieni in braccio un neonato. Mentre inspiri, porta attenzione al tuo corpo, immagina di aprirti e di di essere saggio, caloroso e resiliente.
Per i minuti successivi, mentre inspiri ed espiri, continua ad immaginare di essere quella figura compassionevole che hai descritto. Come si manifesta la tua compassione? Quale sarebbe il tuo tono di voce se tu fossi quella figura compassionevole? Come ti comporteresti? Quale tipo di espressione avresti sul tuo volto? Goditi la tua capacità di condividere questa gentilezza e prenditi cura di te stesso e delle cose che ti circondano. Se la tua mente si perde in altri pensieri, come accade così spesso in ciascuno di noi, usa la tua successiva inspirazione per riportare gentilmente l’attenzione a questa immagine compassionevole.
Quando ti senti pronto, con la prossima espirazione naturale, lascia andare semplicemente questo esercizio. Inspira di nuovo e con la seguente espirazione, ritorna con la consapevolezza all’ambiente circostante. Prenditi un momento per riflettere su cosa hai scoperto di te attraverso questo esercizio. Poi riporta la tua attenzione all’ambiente circostante.
Darwin riteneva che la “sympathy” (termine spesso usato per compassione) fosse l’istinto più forte evolutosi negli esseri umani, scrivendo in “Descent of Man, and Selection in Relation to Sex”: “La compassione si è sviluppata attraverso la selezione naturale: le comunità più compassionevoli, cioè con una percentuale maggiore di individui compassionevoli al loro interno, sono state quelle più floride e che hanno raggiunto un maggior numero di nascite” (Darwin, 1871, p. 130). I vantaggi della compassione sono numerosi:
– migliora la cura dei figli
– è un tratto desiderabile per la scelta del compagno
– permette la cooperazione tra persone che non appartengono alla stessa famiglia.
Inoltre la compassione è un utile strumento per fare spazio alle emozioni difficili, che spesso comportano dolore e sofferenza. Riconoscere il dolore e la sofferenza che la rabbia comporta in noi (ad esempio causandoci uno spiacevole impulso ad agire, sensi di colpa e giudizi verso noi stessi secondo l’idea che “non dovremmo arrabbiarci”, creando tensione fisica) e rivolgere a noi stessi un atteggiamento compassionevole, può alleviare il dolore e aiutarci a diventare più tolleranti nei confronti dell’emozione, lasciandole il tempo di defluire.
Una delle pratiche meditative che ci aiutano in questa direzione è l’esercizio “Ammorbidisci, conforta e lascia”, adattato da Germer e Neff (2018). Questo esercizio di meditazione guidata implica un’attenzione compassionevole verso le proprie emozioni e verso noi stessi nel momento presente. Praticare questo esercizio intenzionalmente ci può aiutare a:
Ascolta il file audio di questo esercizio>>
Inizia questo esercizio trovando una posizione comoda, puoi anche chiudere gli occhi e portare l’attenzione alle sensazioni nel tuo corpo. Ascolta quali sensazioni ci sono adesso nel tuo corpo, esplorale con curiosità, forse alcune sono piacevoli e altre spiacevoli.
Poi porta l’attenzione al respiro e inizia a seguire e allungare ogni singolo respiro per calmare la mente, districarla dai pensieri, dai sentimenti. Connettiti con l’aria che entra e che esce. Connettiti con il dondolio naturale dell’aria che entra e che esce.
Ascoltando il respiro, potresti aver notato che alcune emozioni o alcune sensazioni fisiche continuano a distoglierti dal respiro e a richiamare la tua attenzione. Ora rivolgeremo l’attenzione proprio ad esse, un’attenzione amorevole, dolce. Quindi dirigi l’attenzione a quelle parti del tuo corpo dove senti in modo più forte la rabbia, o porta l’attenzione a quella parte del tuo corpo dove in questo momento c’è tensione, irrequietezza, fastidio.
Identifica dove nel tuo corpo ti è più facile sentire un forte disagio.
Il primo passo della pratica che stiamo facendo è ammorbidire la parte dove senti disagio nel tuo corpo. Questo significa lasciare che i tuoi i muscoli si ammorbidiscano, si allentino, si rilassino, senza però nessuna richiesta che diventino morbidi. Lascia che i tuoi muscoli si ammorbidiscano, come se tu stessi semplicemente applicando del calore su di essi, senza doverti sforzare, ma piuttosto lasciando che sia un ammorbidirsi delicato, naturale. E poi, per potenziare questo processo, puoi silenziosamente dire a te stesso “ammorbidisci, ammorbidisci, ammorbidisci”.
Mentre fai questo, ricorda che non stai provando a far andare via la sensazione di disagio, ma a stare con quella sensazione, in modo amorevole, con una attenzione dolce. Usa la stessa attenzione amorevole che useresti se ti stessi occupando di un bambino con la febbre. Probabilmente non staresti lottando con il desiderio che la febbre se ne vada, ma staresti seduto al suo fianco, con un sorriso tenero sul volto, e lo guarderesti con dolcezza, posando delicatamente una mano sulla sua fronte. Proprio con lo stesso atteggiamento cerca di portare un’attenzione amorevole a quella parte del corpo dove senti il disagio, e poi a prenditene cura, invitandola ad ammorbidirsi, a rilassarsi, ad allentarsi.
E ora, facciamo il secondo passo in questa pratica. Conforta te stesso per la fatica che stai facendo nell’avere questa sensazione spiacevole. Se vuoi metti la mano sopra il tuo cuore, ascolta il tuo corpo che respira, senti il calore della tua mano e la gentile pressione sulla tua pelle.
E poi conforta te stesso con le parole gentili che emergono nella tua mente come “oh mio caro, è un’esperienza così faticosa” e forma un’intenzione dentro il tuo cuore come “che io possa crescere e imparare a viverla con più leggerezza”, augurando queste o altre parole a te stesso, nello stesso modo in cui le augureresti al più caro dei tuoi amici. Sussurra in silenzio qualche parola gentile, se emerge.
Così puoi confortare il tuo corpo per la fatica e lo sforzo che sta facendo.
Oppure puoi dirigere la tua gentilezza ad una particolare parte del tuo corpo che in questo momento è sotto stress. Se ne hai voglia puoi appoggiare una mano su quella parte del corpo, come sul tuo petto, o sul tuo collo, o sulla tua pancia. Pensa a questa parte del tuo corpo come se fosse un bambino che ami e di cui vuoi prenderti cura. Per rinforzare la tua intenzione puoi semplicemente ripetere “conforta, conforta, conforta”.
E infine proviamo il terzo passaggio di questa pratica: consenti che ogni disagio sia lì dov’è e consenti che sia esattamente com’è. Spesso in modo automatico reagiamo al dolore contraendo qualche muscolo, o evitiamo di tenere lì l’attenzione, o desideriamo che il dolore se ne vada e ci arrabbiamo per trovare un colpevole. In questo momento invece lascia semplicemente che l’esperienza stia lì dov’è e che possa essere esattamente com’è. Guardala con curiosità e dolcezza: forse c’è una pulsazione o un dolore bruciante, una tensione o una fitta acuta, ma per ora lascia che stia lì esattamente com’è, solo per adesso, per qualche altro minuto.
Lascia andare il desiderio naturale chela tensione scompaia, e lascia che il dolore vada e venga a suo piacimento, come se fosse un ospite a casa tua. Anche se è un ospite sgradito, lascialo andare e venire, senza lottare sulla porta per spingerlo fuori. Stattene seduto, calmo e con un sorriso guardalo andare e venire, guardando con curiosità come si trasforma momento dopo momento, si affievolisce o si intensifica.
E per rinforzare questa tua intenzione puoi ripetere “consenti, consenti consenti”.
E così continua ad ammorbidire la parte nel tuo corpo in cui senti disagio o dolore, senza pretendere che si ammorbidisca, e poi dai conforto a te stesso che stai lottando con questo disagio, forse con alcune parole gentili che emergono nella tua mente. Oppure dai conforto alla parte del tuo corpo che sta soffrendo, posando delicatamente una mano sopra come se fosse un bambino malato di cui vuoi prenderci cura. E poi lascia che le sensazioni rimangano esattamente così come sono, e solo per ora lascia la lotta contro di esse.
Per ricordarti di avere un atteggiamento gentile verso il tuo dolore, puoi ripetere a te stesso, più e più volte, se vuoi con la mano sopra il tuo cuore, le parole:
ammorbidisci, conforta e consenti
ammorbidisci, conforta e consenti
ammorbidisci, conforta e consenti
E se senti troppo disagio nel continuare a tenere l’attenzione proprio lì dove senti dolore, puoi tornare indietro sul tuo respiro, puoi trovare rifugio su di esso e sul suo ritmo calmante e puoi farlo ogni volta che vuoi e poi riportare la tua attenzione sulla parte del tuo corpo dove senti disagio dicendo a te stesso:
ammorbidisci, allevia, consenti
Lascia che il tuo corpo sia esattamente com’è e che possa sentire esattamente ciò che sente. Come un genitore amorevole, approccia la sofferenza con curiosità, guarda di cosa ha bisogno, senza mandarla via.
Forse potresti notare dentro di te il desiderio che il disagio o il dolore se ne vadano via, ma solo per ora continua a star seduto con esso, e con gentilezza:
Ammorbidisci i tuoi muscoli, come se avessi un panno caldo posato sopra.
Conforta, sussurrandoti le parole che avresti bisogno di sentirti dire per stare con questo disagio.
Lascia cioè non lottare, non resistere, ma prova a fare un po’ di spazio dentro te per questo dolore.
Concludi questa pratica tornando per qualche istante sul tuo respiro e, quando sei pronto, riapri gli occhi. Rifletti, se vuoi, sui passaggi che ti sono stati più utili, o su quelli che hai fatto più fatica a praticare.
Una volta usciti dal ciclo della risposta abituale alla rabbia, avendo imparato a non alimentarla e a fare spazio alle spiacevoli sensazioni corporee che provoca, possiamo usare le nostre menti compassionevoli per generare nuove risposte da utilizzare nelle situazioni difficili.
Inizia con 30 secondi di respiro calmante.
Poi, ricorda una recente esperienza di rabbia. Riconosci la situazione che l’ha scatenata, visualizza i dettagli di quel momento: dov’eri, cosa ti circondava, che rumori, colori, odori coglievi attraverso i tuoi sensi. Poi pensa alla tua reazione:
Come ti sei sentito quando hai provato rabbia? Come ha risposto il tuo corpo e come sono cambiati i tuoi pensieri?
Cosa hai fatto in risposta alla tua rabbia? Come l’hai espressa o come non l’hai espressa? Prova a visualizzarti come se ti vedessi su un filmato.
Cosa stavi inseguendo o cosa stavi cercando di evitare? Cosa diceva la tua mente per alimentare la tua rabbia?
Ora accedi alle qualità del tuo sé compassionevole. Apri le tue spalle, accomodati in una postura eretta, dignitosa, rilassa il tuo viso e accenna un leggero sorriso. Sentiti ben radicato a terra, forte, stabile insieme al tuo respiro. E poi, richiama le tue qualità di gentilezza, tolleranza al dolore, capacità di comprendere e avere una visione più ampia della vita; richiama la tua sincera intenzione ad alleviare il dolore. Guarda te stesso arrabbiato e cerca i segnali di sofferenza. Cercali nel viso, nelle spalle, nel respiro, nel colore della pelle, nella mente agitata. Guarda te stesso arrabbiato dalla prospettiva della compassione e ricordati, ogni volta che ti confondi con la rabbia, di tornare su un respiro lento e calmo. Dopo che hai visualizzato i segnali di sofferenza causati da questo episodio, prova a riflettere su queste domande:
Quai sono gli elementi del contesto che possono aver acceso la rabbia? Ti sentivi solo, o stanco, o non compreso?
E’ successo altre volte di esserti arrabbiato per situazioni simili?
Come vedi, da questa prospettiva compassionevole, i pensieri della tua rabbia? Hanno influito sulla situazione? Hanno amplificato la tua rabbia o hanno aiutato ad alleviarla?
Di cosa, nel tuo profondo, avevi più paura? Da cosa stava cercando di proteggerti la tua rabbia?
Quali sentimenti stanno sorgendo in te in questo momento?
Di cosa ha bisogno la parte di te arrabbiata per sentirsi al sicuro? Cosa la aiuterebbe a sentirsi meno minacciato?
Ora, immagina di andare al passato e di donare alla parte di te arrabbiata, quel gesto o quelle parole che avrebbe bisogno di sentirsi dire. Quando perdi il senso di stabilità e calma proprio della compassione, torna sul tuo respiro e rallenta. Ritorna all’immagine quando ti senti pronto. Continua a donare a te stesso parole gentili per qualche minuto. Poi, riflettendo su cosa hai scoperto attraverso questo esercizio, fai un respiro più ampio e riapri gli occhi.
Quando ci spostiamo in questa prospettiva del nostro sé compassionevole e portiamo la nostra attenzione ai processi mentali che contribuiscono alla nostra rabbia possiamo iniziare a capirla in modo molto più profondo.
Per spostare le nostre menti dal pensiero arrabbiato e guidato dalla minaccia al pensiero più compassionevole, possiamo imparare ad identificare i pensieri specifici che tendono a guidare la nostra rabbia e generare, quindi, alternative compassionevoli.
Il pensiero arrabbiato ha una relazione stretta con il nostro sistema di protezione dalla minaccia e rimane attivo a lungo, anche dopo che la situazione che l’ha attivato è, in realtà, finita. Se permettiamo al nostro comportamento di farsi influenzare dai pensieri arrabbiati questo porterà a conseguenze negative. Perciò, per creare pensieri compassionevoli alternativi al pensiero arrabbiato, possiamo considerare l’evento che ha scatenato la rabbia e chiederci:
Come potrei vedere questa situazione se non fossi arrabbiato?
Se ci fosse una persona premurosa in giro, come potrebbe vedere questo evento e aiutarmi a pensarci?
Come preferirei davvero guardare quest’evento se fossi calmo?
Come lo vedrò tra tre mesi? Me lo ricorderò?
Cosa potrei dire ad un amico che è stato così? Come lo aiuterei a sentirsi supportato?
Ora che abbiamo metodi migliori per affrontare la situazione, sta a noi scegliere quali usare e metterli in atto. Agire in modo diverso (e più saggio) è ciò che concretamente cambierà la tua risposta alla rabbia.
Valutare le alternative compassionevoli di cui disponiamo ci permette di calmare in modo naturale il nostro sistema di protezione dalla minaccia, fermando la rabbia prima che si scateni.
Ogni volta che agiamo spinti da una motivazione compassionevole o scegliamo un’alternativa compassionevole invece di impegnarci in comportamenti di rabbia abituali, stiamo aiutando a stabilire nuovi schemi nel nostro cervello che modelleranno il modo in cui risponderemo in futuro.
Non saremo mai perfetti e non dobbiamo esserlo, ma osservando la prospettiva del nostro sé compassionevole piuttosto che quella della nostra mente minacciata possiamo relazionarci con noi stessi in un modo nuovo. Potremmo fallire, come tutti, ma ora sapremo come tornare indietro senza rabbia e poi riprovarci.
La gestione della rabbia richiede molto tempo e si procede un passo alla volta. Già riuscire a fermare l’impulso una sola volta vuol dire aver fatto un gran passo avanti. È importante valorizzare ogni piccolo passo che si fa quando si lavora con sé stessi.
Tutti gli esercizi che abbiamo proposto in questo articolo non funzionano se sono fatti una sola volta e magari se sono un tentativo disperato di sbarazzarsi di un’ira furibonda che non ci lascia dormire la notte. Funzionano invece quando li pratichiamo più spesso e diventano un vero e proprio stile di vita da seguire. Per approfondire nei dettagli questi strumenti di cui abbiamo fornito una descrizione si può acquistare il libro di Kolts “The compassionate mind approach to managing your anger: using compassion-focused therapy “. Siamo comunque consapevoli che da soli può essere molto difficile mettere in pratica questi spunti e può essere utile rivolgersi ad un professionista che può aiutare a liberarsi dalla rabbia tramite la psicoterapia, comprendendo gli ostacoli che rallentano il percorso.
Kolts, R. (2012). The Compassionate Mind Approach to Managing Your Anger: Using Compassion-focused Therapy. Hachette UK.
Hai bisogno del parere di un esperto? Scopri come la psicoterapia può aiutarti>>
Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche:
Contattaci, il primo colloquio è gratuito e senza impegno>>
Rimani aggiornato sui prossimi training online e sui nuovi articoli. Iscriversi è gratis, sconto 10% per gli iscritti