Tutte le persone sperimentano tristezza o disforia: fa parte della vita non riuscire a raggiungere un obiettivo, perdere una persona amata, subire le conseguenze di una crisi economica. Non tutti, però fanno quel salto che cronicizza e fa diventare patologica la “sana” tristezza. Alcuni, in altri termini, passano dalla tristezza (o disforia) alla depressione.
Le definizioni di disforia sono più di uno, in questo articolo per disforia si intende uno stato adattivo con sintomi moderati tipici dell’umore depresso, ma differisce dalla depressione, intesa invece come un disturbo disadattivo dell’umore che interferisce con il vivere in linea con i propri valori e con ciò che è importante.
In generale, le fluttuazioni nell’umore sono normali e svolgono la funzione adattiva di orientare la persona verso ciò che è saliente o lontano da ciò che è pericoloso. In questa prospettiva l’ansia, ad esempio, allontana la persona da ciò che può essere pericoloso o che può danneggiare l’individuo, mentre la disforia preserva l’individuo dal continuare a investire risorse ed energia in una direzione non attuabile e dove non è conseguibile il risultato voluto. La disforia tiene quindi lontano l’individuo da ciò che è inutile, ritirando le proprie energie per poi reinvestirle altrove.
La disforia diventa depressione quando la persona inizia a lottare contro il proprio stato emotivo e le sensazioni e i pensieri ad esso legati, quando si inizia a sentirsi sbagliati perché “non felici”, quando le proprie energie iniziano ad essere finalizzate esclusivamente contro la lotta al proprio umore depresso.
In altri termini è la non accettazione del dolore che caratterizza la disforia che porta l’individuo in una spirale negativa e patologica che aumenta il dolore invece di controllarlo o eliminarlo, come si vorrebbe. L’accettazione e il poter fare spazio alle sensazioni, alle emozioni e ai pensieri spiacevoli è quindi uno dei passi importanti per uscire dal vortice della depressione, rinunciando all’agenda del controllo dello “star bene”.
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