I temi del co-sleeping, del bedsharing in età infantile, e la possibilità che queste pratiche possano aumentare il rischio di SIDS o di incidenti mortali sono stati al centro di un acceso dibattito, tra chi sostiene l’uno e chi sostiene l’altro.
“Non dormite mai con il vostro bambino, né fatelo dormire nel vostro letto… L‟unico ambiente sicuro per il sonno dei neonati è la culla, luogo che rispetta gli standard di sicurezza vigenti e fornisce al bambino un materasso adatto”.
Ann Brown, membro della Consumer Product Safety Commission (Commissione sulla Sicurezza dei Consumatori), Stati Uniti d’America, 29 settembre, 1999.
Innovazioni culturali relativamente recenti come le culle, i materassi e la biancheria da letto non si sono evolute al punto da proteggere e alimentare i neonati durante le ore notturne: i comportamenti materni a tutela dei neonati, invece, (incluso il contatto fisico assicurato dal co-sleeping), sono riusciti a raggiungere questi scopi. Sembra che la biologia che regola l’allattamento al seno – considerata la nuova regola vigente in occidente per quanto riguarda l’alimentazione dei neonati – agisca da “regolatore occulto”, in grado di promuovere la vicinanza notturna tra madre e figlio (che condividono necessariamente lo stesso letto o dormono su letti diversi ma sempre vicini). Il co-sleeping tra madre e figlio rappresenta il modo di dormire più appropriato dal punto di vista della biologia umana: si tratta di una pratica antica e onnipresente semplicemente perché in sua assenza l‟allattamento al seno non sarebbe possibile o comunque non facilmente attuabile. Il più intenso contatto sensoriale e la vicinanza tra madre e neonato inducono comportamenti e mutamenti fisiologici potenzialmente salutari per il neonato. Tali cambiamenti, osservati dalle mamme, spiegano forse il motivo per cui, entro pochi giorni dal ritorno a casa dall’ospedale dopo il parto, le madri adottano una delle seguenti forme di co-sleeping: la condivisione della stanza o quella del letto, per tutta la notte o solo per parte di essa. Le mamme riferiscono che i neonati in questo modo piangono meno, le ore di sonno sia della mamma che del bambino aumentano e cresce anche la frequenza della poppata, facilitata dalla vicinanza fisica. Alcuni studi polisonnografici hanno messo a confronto mamme che allattano esclusivamente al seno con quelle che condividono il letto con il neonato o che invece dormono da sole, dimostrando che anche durante gli stadi più profondi del sonno, le madri che hanno condiviso il letto con il proprio bambino si sono svegliate il 30% di volte in più rispetto alle altre. Che l’alta percentuale di risvegli materni (~1/2) coincida con il risveglio del neonato e che in circa i 2/3 dei casi sia provocata dal risveglio anticipato del neonato rispetto a quello della madre, suggerisce un alto grado di reattività da parte della madre stessa. Questa maggiore sensibilità potrebbe aumentare le possibilità della madre di individuare più velocemente le eventuali minacce di morte e di intervenire per neutralizzarle, cosa che invece è preclusa nei casi di separazione notturna dal bambino.
La maggior parte delle morti causate da SIDS negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali, avvengono durante il sonno solitario, ovvero al di fuori della supervisione di un adulto. Inoltre, il maggior numero di soffocamenti accidentali sospetti o di incidenti mortali non avvengono nelle comunità dove è diffuso l’allattamento al seno o il bedsharing, ma in quelle sacche di povertà urbana in cui convergono molteplici “fattori” di rischio e l’allattamento con biberon predomina sul quello al seno. Ulteriori “fattori” di rischio associati al bedsharing e presenti nelle popolazioni ad alto rischio, sono rappresentati dal fumo materno, dall’utilizzo di cuscini o piumini, dal sonno condiviso con altri bambini oppure dall’utilizzo di divani, materassi ad acqua e sofà. Il letto condiviso con persone diverse dalla madre, l’eventuale eccessiva stanchezza della mamma, l’assunzione di alcol o droghe, il sonno incustodito del neonato sul lettone degli adulti, sono tutti fattori che innalzano il rischio di SIDS e/o di incidenti mortali.
“…lasciar dormire i figli nel proprio letto può renderli confusi e ansiosi anziché rilassati e rassicurati” Dott. Ferber
Dal punto di vista evolutivo, si potrebbe dire che a sentirsi “confusi e ansiosi” non sono i bambini che dormono tra le braccia rassicuranti dei genitori, come afferma il Dott. Ferber, ma piuttosto quelli che dormono soli. I potenziali benefici psicologici ed emotivi del co-sleeping su bambini e adulti iniziano solo ora a essere registrati e pubblicati. I bambini che non hanno mai dormito nel letto dei genitori dimostrano la tendenza a essere piuttosto “difficili da controllare”, “meno felici”, meno creativi, meno in grado di rimanere soli e spesso anche più capricciosi. I bambini ai quali non è mai stato permesso di dormire nel letto dei genitori appaiono più timidi di quelli che invece hanno sempre dormito, per la notte intera, con i genitori: una scoperta in controtendenza rispetto a quello che la maggioranza della popolazione crede.
In sintesi, i ricercatori considerano, in modo infondato, il sonno solitario del neonato in culla, privo quindi del contatto con il genitore (un ambiente nuovo e biologicamente inedito per i bambini), più sicuro rispetto a qualsiasi forma di bedsharing. Inoltre, il corpo della madre, a prescindere dalla presenza di latte materno o dalle condizioni di sobrietà/dipendenza da sostanze, continua a essere considerato un’arma potenzialmente letale – come un mattarello di legno, se vogliamo, del quale né la mamma né il neonato detengono il pieno controllo durante il sonno (vedi la dichiarazione resa da Ann Brown della Consumer Product Safety Commission (CPSC) – Commissione per la sicurezza dei generi di consumo).
“Fondamentalmente crediamo sia ingiusto che i medici condannino il bedsharing. All’interno dei consultori vanno presi in considerazione i bisogni del bambino, il contesto famigliare e l’ambiente culturale” Jenni (2005).
Il rifiuto di una raccomandazione uguale per tutti migliorerà senza dubbio la qualità del dibattito in corso. In un supplemento recentemente pubblicato insieme a Pediatrics e intitolato “Cultural Issues and Children’s Sleep: International Perspectives”, si è tentato per la prima volta di approfondire seriamente la conoscenza del complesso tema dello sviluppo del bambino, del sonno infantile e delle sue problematiche. Da quest’opera collettiva possiamo dedurre che il tradizionale paradigma usato dalla ricerca pediatrica deve cambiare necessariamente, non solo diventando più accurato dal punto di vista scientifico ma anche più efficace nell’aiutare le famiglie. Il rapporto tra le abitudini e lo sviluppo, sia nel breve che nel lungo periodo, e sia in presenza di effetti positivi che negativi, è tutt’altro che semplice e la consuetudine di etichettare una pratica come migliore rispetto a un’altra senza conoscere il singolo contesto famigliare non è solo sbagliata ma anche dannosa.
Bibliografia
McKenna, J. J., & McDade, T. (2005). Why babies should never sleep alone: a review of the co-sleeping controversy in relation to SIDS, bedsharing and breast feeding. Paediatric respiratory reviews, 6(2), 134-152.
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