Storia della musica ed emozioni

La musica è presente in tutte le culture e in tutti i popoli della terra e può avere svariati ruoli, da quelli sociali a quelli rituali. La musica che appartiene al nostro contesto culturale è quella che generalmente viene identificata col nome di musica occidentale e le sue radici risalgono agli antichi Greci, anche se poco ci è pervenuto della loro musica.

La musica Occidentale è strettamente legata al concetto di emozioni. Possiamo notare l’esistenza di questo legame fin dalla culla della musica presso i Greci. Allora questa era una forma d’arte molto importante e aveva il ruolo di accompagnare la poesia e i cori nel teatro, per enfatizzare le emozioni trasmesse dal significato delle parole.

Nel Medioevo la musica si divise in sacra e profana, e la prima ebbe due funzioni distinte: inizialmente ebbe la funzione di avvicinare il popolo alle cerimonie religiose e di farlo partecipare a queste mediante i canti gregoriani, successivamente di rappresentare Dio mediante la polifonia, un intreccio complicato di più linee melodiche vocali che avevano lo scopo di riprodurre le voci angeliche del paradiso. Come si può vedere la musica era ancora strettamente legata alla parola e non aveva una sua indipendenza da questa nel comunicare le emozioni.

Il panorama musicale cambiò invece completamente con la nascita del melodramma nel Seicento. In quel periodo si riscoprì l’antico teatro Greco e si cercò di farlo rinascere mediante questo nuovo genere che ebbe subito un grande successo. Nato in Italia, la voce deteneva ancora il ruolo principale: si riteneva che solo così potessero essere trasmessi i significati e le emozioni. Ma fu proprio il successo di questo genere che in un certo senso ne determinò se non la fine, un profondo mutamento. Infatti il melodramma si espanse in tutta Europa, ma le parti vocali non si prestavano a venire tradotte nelle altre lingue per cui persero gradualmente valore. A questo punto avvenne qualcosa di molto importante che pose il seme della musica moderna: le orchestre acquistarono autonomia e si iniziò a capire che la musica, da sola, senza l’accompagnamento vocale, poteva trasmettere emozioni svariate. Nel Settecento comparvero così Bach e Handel, Haydn e Mozart. Questi ultimi avevano colto il potenziale espressivo della musica, ma erano ancora vincolati a comporre della musica su commissione o per qualche particolare occasione. La musica si slegò da queste ultime catene all’inizio dell’Ottocento con Beethoven grazie al quale assunse la completa indipendenza dalla parola, anzi venne ritenuta la forma d’arte più nobile proprio per questo motivo. Ma musica e parola non restarono separate a lungo perché questa indipendenza fu la culla della musicologia, la scienza che studia tutti gli aspetti della musica. In altri termini fiorirono una quantità smisurata di libri per interpretare la Nona o la Quinta sinfonia di Beethoven e per interpretare la musica in generale, cercando di darle un significato. Paradossalmente per i Romantici la musica fu più che mai una lingua sonora e non era fine a se stessa come poteva essere per Mozart o per Haydn, bensì aveva una precisa funzione di comunicazione (Mila, 1946). Schumann raccontava “Le scene del bosco” con il pianoforte e faceva rivelare all’“Uccello profeta” i segreti della natura, Chopin dipingeva se stesso e la natura nei suoi “Notturni”. Questi e molti altri esempi possono farci capire quale era il potenziale comunicativo della musica in questo periodo storico.

Ancora oggi uno dei ruoli più importanti della musica moderna è quello di suscitare emozioni in chi la ascolta.